La Torre Ghirlandina di Modena
Con i suoi 89 metri di altezza la Torre Ghirlandina è senza dubbio il simbolo della città di Modena, cuore nevralgico e ideologico del suo impianto urbanistico. Il nome è dovuto al doppio giro delle balaustre sulla guglia sommitale o alla Giralda di Siviglia, la torre spagnola a cui dal XVII secolo si ravvisò la somiglianza.
La torre, a sezione quadrata fino al sesto piano (11 m. di lato alla base), realizzata come in rocchi sovrapposti con cornici marcapiano e restringimento della canna, è stilisticamente accostata ai modelli lombardi del XI - XII secolo ed è rivestita da blocchi in pietra di Aurisina, pietra di Vicenza, materiale litico romano di rimpiego (fasi più arcaiche della costruzione) e nel cosiddetto marmo di Verona (calcare ammonitico), bianco e rosato, per quel che riguarda le fasi campionesi. La parte sommitale è sormontata da un blocco ottagonale con guglia, realizzata a partire dal XV secolo.
La Ghirlandina si presenta fortemente inclinata verso l’angolo sud-ovest con uno sprofondamento di circa 2 metri dall’attuale piano di calpestio che ha causato un parziale cedimento e rotazione della facciata nord della cattedrale, palesemente ravvisabile a occhio nudo. La causa è da additare al fenomeno della subsidenza, associato alla natura argillosa delle pianure alluvionali, che ha interessato anche l’area absidale del duomo, ma anche alle ridotte dimensioni delle fondazioni (a piccola risega con leggera scarpa) che intercettano l’antica Via Emilia romana. L’innalzamento dei due contrafforti di gusto gotico, con aperture a sesto acuto, è dovuto al tentativo di contrastare la pendenza già nella prima metà del Trecento, gli archi sono di ricostruzione (inizio XX sec.)
Oggi all’occhio del visitatore risulta difficile cogliere l’antica struttura di connessione con la cattedrale se non scorgendo le inequivocabili tracce sui paramenti litici di entrambe le costruzioni. Eppure è proprio partendo da questa considerazione che si rivela la duplice vocazione della torre, che accomuna, nel culto del patrono, gli aspetti civili e religiosi della città promossi dalla committenza laica. Essa è stata infatti nello stesso tempo campanile e torre di avvistamento, archivio comunale (dal XIV sec.) e archivio del duomo nonché luogo di custodia delle reliquie e delle argenterie.
La sequenza dei piani
Piano di accesso originale (ex piano terra)
La percezione della scansione in piani è falsata dal notevole interramento della torre per cui quello che oggi è considerato come il piano di ingresso era il piano primo della torre. L’accesso in origine era circa a 2 m sotto l’attuale piano di calpestio (vano accessibile, non per i visitatori, con la scala realizzata nel 1901) e dava accesso ad una camera voltata con quattro pilastri angolari, il più grande dei quali, a nord-ovest, conteneva la scala a chiocciola che accedeva al piano superiore. I pilastri (2 m x 2 m), aggiunti posteriormente sono funzionali al sostegno delle scale, realizzate in mattoni romani di rimpiego, previste fino ad una quota di 46 m (camera dei Torresani). Nel 1607 si provvide ad innalzare il livello pavimentale di circa un metro per far fronte all’infiltrazione di acqua dalle fondazioni.
Piano di accesso odierno (ex piano primo)
Il vano di ingresso è caratterizzato da 4 nicchie portaceri, originali, realizzate con laterizio romano di reimpiego, e dalla profonda strombatura della feritoia, anch’essa originale, sul lato est. L’accesso avviene tramite apertura sul piano stradale e scala realizzate nel 1901.
Piano della secchia (ex piano secondo)
Dalla scala che si diparte dalla biglietteria si sale alla cosiddetta “sala della secchia”, in origine luogo che ospitava l’archivio comunale e del duomo con l’argenteria e le reliquie della chiesa. In seguito fu adibita alla conservazione della famosa secchia, di tassoniana memoria, sottratta ai bolognesi nella battaglia di Zappolino del 1325, simbolo di orgoglio cittadino. Oggi la secchia è esposta all’interno del Palazzo del Comune nel Camerino dei Confirmati. Unico vano interamente affrescato, presenta decorazioni trecentesche, di gusto gotico, che rappresentano uno scrigno aperto sotto il cielo stellato, visibile dietro una griglia che ricorda l’inferriata dell’ingresso. Nelle pareti gli affreschi imitano l’uso di tessuti pregiati in voga nelle dimore nobiliari coeve, soprattutto la pregiata pelle di Vaio (scoiattolo siberiano), il cui caratteristico segno grafico sarà utilizzato in araldica. Fregi floreali e tralci vegetali completano l’apparato figurativo, lasciando intravedere in parte le originali pitture a campiture gialle e rosse che ricordano quelle duecentesche del duomo, a righe rosse e bianche. Sono pitture che presentano una più approssimativa resa artistica e un disinteresse verso il naturalismo, indizio di una bottega di semplici decoratori incaricati dalla comunità civica e non della Fabbriceria. Il vano è voltato ed è alto circa 5,80 m, il più alto della torre, la volta costruita posteriormente le scale.
Camera dei Torresani (piano sopra la quarta cornice esterna)
Le scale furono pensate in origine per raggiungere la stanza in cui gli addetti all’avvistamento e alla scansione dei momenti civici risiedevano e manovravano il sistema campanario. Le mensole angolari aggettanti agli angoli del vano sostenevano la struttura lignea a soppalco ad essi riservata, oggi non più presente. Sul lato nord, in cui le aperture fanno scorgere la mole del Palazzo Ducale, fu dipinto nel tardo XVI secolo lo stemma ducale, ritoccato nel ‘700. La stanza presenta due esempi di capitello squisitamente scolpiti, la cui collocazione a questa quota ha suscitato l’interesse degli studiosi. La decorazione accostabile allo stile antelamico (capitelli del pulpito, Galleria nazionale di Parma) presentano temi di natura spirituale (capitello ad est, con riferimento diretto alle decorazioni della cornice esterna) e di natura civile, una complementarietà che pare essere in linea con il valore della torre.
Ipotesi di datazione
Oggetto di restauro tra gli anni 2007 e 2011, la Torre ha finalmente svelato e sciolto i dubbi, almeno in gran parte, circa la cronologia della torre e delle sue fasi costruttive.
Ben pochi erano gli elementi su cui basare ipotesi di datazione e capaci di agganciarsi ad un dato cronologico certo ma l’interpolazione tra analisi stilistica, edilizia e documentaria ha reso più verosimile l’ipotesi cronologica.
I dati presi in considerazione sono stati i seguenti:
1) la delibera del 1261 emanata dal Comune di Modena in difesa delle rendite e dei possedimenti della Cattedrale e in cui si cita la sopraelevazione di un piano della torre;
2) la presenza della data 1169 o 1179 incisa su lastra romana di rimpiego (lato est);
3) la posizione delle buche pontaie;
4) la tessitura della muratura del 3°, 4° e 5° rocco;
5) rinnovo del contratto del 1244 tra Enrico da Como e massaro;
6) confronto stilistico dei rilievi esterni (cornici e lastre angolari).
Nel disegno seguente è indicata la cronologia delle fasi costruttive, si è preso in considerazione il lato est, più significativo dal punto di vista stilistico, architettonico e documentario.
Le immagini sono state tratte da internet e in parte rielaborate da chi scrive.
Fonti:
Tripadvisor,
http://gazzettadimodena.gelocal.it/modena/foto-e-video/2018/02/17/fotogalleria/benvenuti-alla-ghirlandina-il-nuovo-ingresso-per-accogliere-i-turisti-1.16490054#1
https://rivistageomedia.it/Archivio/la-torre-ghirlandina-un-progetto-per-la-conservazione
Bibliografia:
La torre Ghirlandina. Storia e restauro. Ediz. italiana e inglese